L’oggetto feticcio europeo Antonio Di Ciaccia 

« Tutti i nodi tornano al pettine », dice un proverbio delle nostre parti. Il capitalismo non sembra aver l’aria di star male, ma i vecchi occidentali sembrano essere ormai completamente occidentati dal capitalismo. Cosa che tutto sommato dà ragione a Marx il quale vedeva gli umani ridotti a essere una pura variabile del capitale.

Giorgio Ruffolo, economista ed ex ministro, riassume il problema in questi termini su la Repubblica. Ai tempi andati i nostri avi, i Romani, basavano la loro economia sul furto : di terre, di donne, di schiavi, di oro e via di seguito. Nel Medioevo l’economia si basava sulla corte : la prosperità dei signori (pars dominica) si alimentava con lo sfruttamento dei contadini (pars massaricia). Infine arriva la democrazia e il capitalismo. Secondo il nostro Autore il capitalismo – lasciamo perdere per ora la democrazia – tende a realizzare una crescita generale dell’economia e ci è riuscito, malgrado le ingiustizie. Da qui, a suo parere, « l’indiscutibile superiorità del capitalismo su ogni altro regime ». Tuttavia qualche cosa si è incrinata a causa dello spostamento dall’accumulazione di cose all’accumulazione di titoli rappresentativi delle cose (finanza). A causa di questo spostamento il capitalismo non traduce più il profitto nella produzione di beni reali e tende sempre più a concentrare la ricchezza sotto forma di liquidità (denaro e titoli) nelle mani di qualche plutocrate (privati ma soprattutto istituzioni). La qual cosa ha avuto come conseguenza che la liquidità mondiale supera per ben dodici volte il prodotto reale mondiale : ecco il motivo del debito delle nazioni ricche, dato che l’economia non si basa più principalmente sullo sfruttamento del momento presente ma sui redditi futuri.

Qualche considerazione. Certo, il capitalismo tende alla crescita della ricchezza. E’ inoltre vero che i due partner, il capitalista e il proletario, vengono assimilati : se rinunciano al godimento guadagneranno un sovrappiù. Solo che per il capitalista si tratta del plusvalore che gli ritorna per aver perso il godimento dell’uso della merce prodotta dal lavoratore, il quale ha anche lui, dopo aver perso la libertà, il suo sovrappiù : invece di vivere, sopravvive. Lacan, con le sue piccole chiose che fanno il nostro godimento, nel Rovescio della psicoanalisi estende questo problema a quei popoli che vogliono partecipare alla ricchezza delle nazioni sviluppate : in una simile faccenda ciò che perderanno è il loro sapere. Sapere che dava loro uno statuto e che il ricco o le nazioni ricche s’intascano come un di più, senza pagarlo.

Marx ci insegna, nel Capitale, che la merce, che non serve solo per il valore d’uso né per il suo valore, acquista quell’aura « mistica » a partire dalla forma che riflette – « come in uno specchio » – la forma del rapporto sociale tra gli umani. La merce, quindi, che era nata per lo scambio, e il denaro, che era fatto per circolare, fissandosi, si metamorfosano in « oggetti feticci » e, parallelamente, i metalmeccanici si conciano in capitalisti.

Ritorniamo all’Europa, con il suo comico e il suo tragico, legati in modo melodrammatico. Da una parte gli indebitati Paesi europei vedono cadere i loro titoli come un castello di carte, d’altra parte i Paesi più virtuosi non vogliono affatto ridursi a essere le casseforti degli eurobond che nascondono titoli-carta-straccia. I metalmeccanici tedeschi non sono affatto disposti a lasciarsi spogliare dai mediterranei, amanti del dolce far niente, i quali, a loro volta, rimproverano ai nordici il loro attaccamento a una moneta forte che ormai viene chiamata neuro (euro del nord).

Una dicotomia si è così prodotta all’interno dell’Europa, e poco importa se l’Arpagone tedesco resta attaccato ai suoi Bund (« Se io lo chiamo un furto? Un tesoro come quello ? ») e il napoletano generalizzato al suo buon piacere (« […] ma non sarebbe perderlo se tu me lo lasci ! »).  Nei due casi, infatti, si tratta solo di paccottiglia. Tiene solo una cosa : che il capitalismo è una cosa seria, « qualcosa di pazzescamente astuto », per dirla con Lacan, « ma destinato a scoppiare ». Appunto perché « va così veloce da consumarsi, si consuma fino a consunzione ».[1] E noi con lui.


[1] J. Lacan, Lacan in Italia. En Italie Lacan, La Salamandra, Milano 1978, p. 196.

pubblicato nel numero 107 di Lacan Quotidien

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