Una donna, professoressa di italiano che aveva nella sua classe un bambino detto autistico, dopo aver scoperto l’esperienza dell’Antenna 110 di Bruxelles, mi invita nella sua scuola perché parli a più riprese con i suoi scolari, gli insegnanti e i genitori che partecipano ad un ciclo di sei conferenze, del tutto convinta che l’esperienza alla base di quello che Antonio Di Ciaccia aveva realizzato in Belgio avrebbe potuto arricchirli. Esperienza difficile per me, ma altrettanto ricca generosa nelle sorprese e conseguenze.

Tra le mille versioni dell’urgenza, farsi partigiano del reale di Marco ci fa scoprire una gioia nuova di cui vorrei farvi parte.

Niente ferma una madre disperata dal non trovare qualcuno che aiuti il figlio a sottrarlo da violenze, da scene e atti violenti e insostenibili.

Il reale urge  Marco sbatte la testa contro il pavimento, il muro, morde, sotto gli occhi dei suoi impotenti.

L’urgenza per la madre  Disperata, la madre ”, percorre l’Italia alla ricerca urgente di psichiatri, medici, psicologi che sappiano dare un nome a questo reale e di farsi partner del figlio. “Tumore al cervello” dice l’uno, “problemi genetici” dice l’altro, “per nulla malato”, poi si scusa e “si tratta dei sindrome di Moebius”. Due terapeuti sono pronti a riceverlo a condizione che la madre non se ne immischi. Finalmente incontra qualcuno che si dice “una operaia di Lacan”,

Una rotatoria, già…  Già anni prima, colei che si presenterà alla mamma di Marco come “operaia di Lacan, sua modalità per dirsi psicoanalista, era la professoressa di italiano, Adele Marcelli, che avevamo incontrato a l’Antenna 110, e che era alla ricerca urgente di aiuto. Infatti si sentiva persa di fronte ad un ragazzo (peraltro geniale ma dai comportamenti strani) ingestibile in classe.

Incontra allora Lacan, la sua clinica, il suo insegnamento a Bruxelles attraverso l’Antenne 110.

Ne ritorna entusiasta. Se ne serve, ne parla e la diffonde nelle scuole della regione organizzando seminari, atelier per insegnanti, genitori, studenti.

La operaia di Lacan   La posizione dalla quale l’operaria risponde alla madre, inaugura l’atto di farsi includere come partner per l’operazione di Marco. Come ? L’operaia, quando la incontra per la prima volta, si rivolge a Marco per domandargli se lei può parlare alla sua madre. Un altro punto decisivo per la madre è quando le dice che Marco “è già al lavoro” perché si calma quando ha un libro fra le mani. L’operaia di Lacan accetta di ricevere Marco a patto che lei possa parlarmene perché avevo lavorato a l’Antenne 110.

… e la costruzione di Marco  Marco si mette ad elaborare instancabilmente e senza sosta (facendo del suo organo supplementare l’istrumento del suo sapere, fa prodezze con le parole, scrive, calcola, traduce in circuiti dando i nomi alle parti del suo corpo, agli astri, al pianeta,…) La madre é tutta presa ad « offrire il suo sapere », non come paziente o co-terapeuta della operaia di Lacan, ma un sapere fatto dei significanti di suo figlio, incontrandola anche con suo marito, per fare il punto del lavoro con Marco.

Da una posizione in preda al reale, la madre passa ad una posizione di soggetto, facendosi analizzante dei suoi problemi, della sua vita, di donna, di sposa, del suo stesso Altro.

 

La madre, urgenza di sapere  Colpita e curiosa di quanto Lacan dice sull’autismo, sulla psicosi, della pratica in istituzione, la madre non smette di leggere, di studiare i testi, gli schemi, il grafo, non perde una conferenza sulla clinica dell’autismo e della psicosi con gli operatori dell’Antenne di Bruxelles e delle altre istituzioni in Italia che nel frattempo si ispiravano alla clinica di Lacan e alla “pratica in diversi”, in Italia. La madre di Marco non soltanto segue tutto questo con interesse, ma interviene inoltre e pone delle questioni.

La madre nell’urgenza di testimoniare  Avevo organizzato a Pisa un congresso su “autismo e psicoanalisi”, con altre istituzioni italiane. In occasione della venuta di quattro colleghi dell’Antenne 110 a Pisa (Bruno de Halleux, Gwendoline Possoz, Pierre Jacobs e Valérie Lorette), ho invitato anche la madre di Marco che ha parlato in maniera sobria della sua lotta accanita per incontrare un partner competente.

Al congresso su « Scuola e psicoanalisi » organizzato da SOS-insegnanti, a Pisa, hanno preso la parola l’operaia di Lacan, Cristina l’insegnante di sostegno, e la madre di Marco, che ha delle parole dure nei confronti degli specialisti da lei incontrati: “Credono di sapere, mentre invece non sanno che una cosa: che, per loro, noi siamo sempre un problema”.

Presentazione del caso di Marco  L’operaia invitata a l’Antenna di Pisa (1) per parlare della sua pratica, mi propone di parlare del suo lavoro con Marco. La madre desidera esserci anche lei. Sono d’accordo ma l’analista che avrebbe commentato il caso non è al corrente della presenza della madre di Marco.

La scommessa della madre   Il tatto ed il pudore delle parole dell’analista e della operaia spinge la madre ad osare: «Un giorno verrò alle vostre riunioni. Insieme a mio figlio! »

Al laboratorio NPQ, scombussolati (2)  Il sabato 30 settembre, due professoresse di sostegno domandano di parlare dei risultati spettacolari, ma problematici per loro: l’una, convinta che sono legati alla presenza del cavallo (ippoterapia), tranne che la conclusione finisce male per il ragazzo; l’altra considera un successo il fatto di esser riuscita a far sì che l’alunno resti in classe a condizione che lei, la professoressa, resti fuori.

Laboratorio unico  La madre di Marco domanda di partecipare al laboratorio con suo figlio. E’ la prima volta che vengono e non conoscono i partecipanti del laboratorio né i due professori. Questo non impedisce di essere a loro agio. Marco si sdraia sul divano, osserva i libri, gli oggetti, i ninnoli, le foto… Li presento (“vengono dall’altra parte del mare”). Marco parla dell’istituzione italiana dove passano molti ragazzi per la diagnosi. Egli parla delle violenze che avvengono in una scuola (“un ragazzo ha picchiato le insegnanti” quando questa scuola dovrebbe essere un esempio di eccellenza). Durante il laboratorio, scopre tre lavagnette nella mia biblioteca. Le osserva, e poi con un tratto deciso e preciso disegna i personaggi di Peach & Daisy. Poi si alza e facendo il giro  pone a ciascuno di noi, seduti in cerchio, due questioni : « Li conosci ?  Li ami? » ma non aspetta che gli si risponda e passa velocemente a porre la questione al vicino. Cerco allora di sorprenderlo voltandomi indietro, quando è il mio turno, ma questo non lo disturba e fa come se niente fosse.

Siamo sorpresi : Marco resta alla riunione durante tutte le tre ore, ascolta, disegna, domanda di parlare. Alla fine, uscito in corridoio, ritorna dalla biblioteca con in mano l’ultimo dépliant dell’Antenne di Bruxelles, che non trovavo più!

La madre resta silenziosa ed ascolta, parlando solo in due occasioni. Le è insopportabile che “dappertutto e per tutti, i genitori non hanno un problema. Noi siamo il problema!”

Urgenze degli insegnanti  Le insegnanti di Marco, non riuscendo a seguirlo nel suo lavorare intenso ed incessante, sono scoraggiati. La sua operaia, sotto l’impulso e la domanda della madre, li include in riunioni tra insegnanti. Dopo un certo tempo, la madre capisce che fa bene a non essere presente alle riunioni con le insegnanti.

Cristina, colei che sarà la « insegnante di sostegno » di Marco, a quel momento ragazzina dai riccioli biondi, era in prima media, compagna di banco del ragazzo geniale. Cristina si ricorda ancora del “Bambino dei biberon pieni d’acqua”, del “bambino della tazza rossa”, dello schema Z di Lacan, de « La borsa o la vita ». « E’ a quel momento – dice – che ho deciso di diventare psicologa ».

Quello che imparo

1. Un buco, chiave di volta  L’operaia di Lacan si autorizza a farsi destinataria e strumento di Marco e della mamma, a scommettere, a fare del buco, della faglia nel sapere, una chiave di volta. Lei resta fedele a questa faglia che è al centro di una rotatoria dove convergono i pezzi di reale i quali, tradotti in elaborazioni, che fanno da bordo a questa faglia, elaborazioni che “presentano”  questi nuovi soggetti pronti-a-nascere, ad uscire dalla rotatoria, ricchi di una nuova enunciazione.

2. Un filo fatto di buchi   Operaia sorprendente ! Essa scommette sulla clinica di Lacan, che lei incontra passando dalla Antenna 110. Strumento modesto al servizio, nuovo san Giovanni, di mirare direttamente a lato? Ciò che fa funzione di filo d’Arianna per tutti questi interlocutori (Marco, madre, insegnanti, istituzioni, congressi, Antenne di Pisa, Istituto freudiano, Laboratorio NPQ,…) tutte queste strade, questi viaggi dell’operaia, della madre, dell’educatore dell’Antenna 110, queste modalità di non indietreggiare di fronte al tempo, alle distanze, ciò che annoda tutte queste persone, queste distanze, questi tempi non è un filo fatto di buchi? Buchi dai quali passa un amore che opera?

3. L’amore per il sapere   In partenza, l’operaia morsa dal sapere, inaugura, grazie a Marco e alla madre, un campo che si arricchisce di una varietà di campi nei quali operano, intervengono diversi, ma che li fa operare nella loro solitudine ma non senza l’altro, ma con l’altro, il collega che ha in tasca la stessa causa ? Quella che egli scoprirà grazie a Lacan.

In conclusione, l’operaia si presta a fare il passeur (ad incarnare una « guida che segue ») della madre : accompagnandola dall’orrore al desiderio di sapere; di Marco, che prende l’iniziativa di ironizzare sul nostro sapere.

4. Urgenza di un atto L’operaia si autorizza a fondare questo campo sul sapere della psicoanalisi, ma non sola, prestandosi pronta a fare serie, a « fare campo » associando altri luoghi che hanno lo stesso orientamento. Dirsi “operaia” è una maniera di destituirsi per istituire un campo costruito su la stessa causa ?

Il transfert della madre di Marco per l’operaia non evita le Forche Caudine della cosiddetta « domanda dei genitori ? Feriti, colpiti nella loro funzione di padri, di madri, si sentono marchiati per sempre, da “Noi siamo il problema”, costretti ad affidare il “loro” bambino a degli sconosciuti che “credono” sapere. Fidarsi di loro? Chi ci garantisce che gli operatori non ne godranno? I nostri figli ce l’avranno con noi perché li abbiamo abbandonati?

5. Dalla parte… L’urgenza fondamentale, quella di essere « dalla parte », dal lato di ognuno, ciascuno come soggetto perché egli realizzi la sua costruzione, passi attraverso un rovesciamento, quello di mirare a che siano i genitori che ci accolgano nella loro istituzione familiare ?

E’ al momento in cui il loro figlio se ne va definitivamente dalla istituzione, triste di lasciarci, che i genitori ci suggeriscono « perché non fate una antenna anche per noi genitori ? » Sono proprio quegli stessi genitori a dircelo, quelli stessi che ci avevano minacciato di scrivere al Re Baudoin I°! Avevamo proposto loro, l’internato, perché il loro figlio non perdesse il suo tempo.

6. Istituzione o no… Il laboratorio NPQ (N di necessario, P di precario, Q di qualunque) del 30 settembre è stato un momento gioioso per Marco. La mamma : « Grazie » m’ha detto « E’ la prima volta che noi non siamo un problema”. “Lei ha vinto la scommessa », aggiungo. « Lo sapevo, mi risponde la madre, che lei non l’avrebbe dimenticato ! »

La gioia l’abbiamo incontrata e l’operaia non c’era… Era occupata, da qualche parte, nella Scuola.

7. Da una scuola, alla Scuola

Lavorare con il soggetto detto autistico è una scuola. E’ l’esperienza che è sempre il primo giorno di scuola. Dei colleghi incoraggiano ad iniziare a praticare partendo da un lavoro in istituzione. Direi anzi che converrebbe non solo passare dall’istituzione, ma passare dalla istituzione della propria destituzione. Mantenere l’orizzonte di abitare l’istituzione dove si può operare a partire dalla causa fantasmatica messa tra parentesi, e della Scuola come campo dove opera l’ “analizzante-analizzato, a partire dalla causa analitica.

8. C’é stato… L’esperienza unica di essere stato associato ed incluso dalla “operaia” di Lacan mi fa dire che non soltanto converrebbe che ciascuno facesse l’esperienza di lavorare in istituzione, ma che è fondamentale. Come lo si può intravvedere per l’operaia: lo fa in posizione di analizzante, prima, durante, dopo.

Se c’è dell’analista, lei lo è stato.

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Note

(1)    Antenna del Campo freudiano di Pisa dell’Istituto freudiano per la clinica, la terapia e la scienza. In Italia le Antenne del Campo freudiano fanno parte dell’Istituto freudiano, dove si compie una parte della formazione clinica e i Seminari che l’Istituto assicura.

(2)    Versione della « riunione di équipe » a l’Antenne 110, riunione e tempo in cui si lavora ad estrarre il perché delle difficoltà della nostra pratica. Laboratorio NPQ, é una attività dell’Antenne del C. F a Livorno dove « N » sta per necessario (il sintomo non cessa mai), « P » per precario, (cioé viene chi lo domanda), « Q » per quiconque (chiunque), (aperto a chiunque)

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